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Duomo di Santa Maria Assunta a Chivasso

Una facciata capolavoro gotico in terracotta

Abitualmente chiamata dai chivassesi "il duomo", in realtà la principale chiesa della città, S. Maria Assunta, in piazza della Repubblica, ha la qualifica - concessa dal vescovo d'Ivrea monsignor Luigi Bettazzi nel 1996 - di "insigne collegiata", ovvero di antica ed illustre sede di un capitolo di canonici e non è, dunque, un duomo. La prima chiesa collegiata di Chivasso sorgeva nel borgo occidentale di San Pietro, primo nucleo dell'abitato, ed era dedicata al Principe degli Apostoli. La costruzione dell'attuale chiesa di Santa Maria Assunta o, per rispettare la più antica intitolazione, dei Santi Maria e Pietro, fu iniziata nel 1415 per volontà del marchese di Monferrato Teodoro II Paleologo, che a Chivasso aveva la principale sede della propria corte.

Proprio per questo motivo il nuovo tempio fu costruito di fronte al castello marchionale, al di là di uno spiazzo, origine dell'attuale piazza della Repubblica, nel quale avevano luogo mercati e cerimonie di vario genere. Il successore di Teodoro II, Gian Giacomo, che governò il Monferrato dal 1418 al 1445, si trovò tuttavia, già dal 1425, nell'impossibilità di finanziare il proseguimento dei lavori della chiesa, perché gravato dalle spese causate dalla guerra contro il duca di Milano. Della continuazione dei lavori dovette così farsi carico l'amministrazione comunale, che allora si chiamava "Credenza", e particolarmente utile si rivelò l'aiuto finanziario della nobile famiglia locale degli Isola. Il tempio, benché incompiuto, fu consacrato nel 1429 dal vescovo d'Ivrea Giacomo de Pomariis. L'effettivo trasferimento del prevosto e del capitolo dei canonici dall'antica collegiata di San Pietro, tuttavia, avvenne solo nel 1480.

La facciata
Ancora oggi la principale attrazione artistica dell'edificio è la facciata, adorna di notevolissimi fregi e figure in cotto, databili forse nelle parti più antiche, come suggerisce Giovanni Donato (1983), al 1450-60 circa. Il complesso delle terrecotte va considerato una delle principali espressioni dell'arte tardogotica quattrocentesca in Piemonte, benché soggetto nel corso dei secoli a numerosi interventi di ripristino, cagionati in particolare dalla deperibilità e dalla scarsa qualità del materiale argilloso. Se i primi restauri risalgono al 1666, l'intervento integrativo più consistente fu attuato all'inizio del Novecento da Cesare Bertea, con sostituzione di numerose figure riconoscibili dal diverso stile esecutivo e dalla tonalità più chiara dell'argilla. Le terrecotte della facciata sono racchiuse in una monumentale forma a cuspide (detta ghimberga), che ascende fino al colmo del tetto sottolineando la maestosità del portale. E' evidente infatti, in questa figurazione, la simbologia dell'ingresso della chiesa come "porta del cielo", passaggio dalla dimensione terrena alla dimensione dell'eternità e della gloria. La grande cuspide è simbolicamente sorretta da ventiquattro figure ordinate in quattro sequenze verticali ed inserite - dodici a destra e dodici a sinistra - fra esuberanti baldacchini e peducci. I personaggi delle due file esterne recano il capo coperto da berrettoni o da corone, mentre quelli delle due file interne hanno la testa scoperta e circondata da aureola. I primi, secondo le consuetudini dell'iconografia medievale, sono identificabili in profeti che hanno annunciato l'incarnazione e simboleggiano l'Antico Testamento. Nei secondi, invece, sono riconoscibili i dodici apostoli, che hanno diffuso il vangelo del Cristo. Anche il numero ricorrente dodici ha, come è naturale, un preciso significato allegorico, perché dodici sono le tribù d'Israele, il "popolo eletto". Al culmine della grande ghimberga, fra altre teste di personaggi coperte da berrettone, compare un angelo che reca fra le braccia un tondo raggiato con al centro il monogramma del nome di Gesù. Al di sotto dell'angelo si apre il magnifico rosone, nel quale si ripetono teste barbate e altri motivi ornamentali. Subito al di sotto del rosone, vi è una ghimberga più piccola, decorata con figurine di angeli e putti ottenute a stampo. Nel culmine di questa cuspide si libra la figura del Redentore. Al di sotto della ghimberga inferiore, infine, si apre il portale, a forte strombatura e nella cui lunetta è raffigurata una bellissima statua in terracotta della Madonna col Bambino, di gusto bizantineggiante. Intorno al portale si dispongono altre figure modellate di santi, fra le quali si riconoscono Giacomo il Maggiore, con il bastone da pellegrino, Giovanni Battista, con l'abito di pelli di cammello e la croce, Pietro, con il libro e le chiavi, e Paolo, con il libro e la spada. Completano la figurazione, ai lati del Redentore, le immagini dell'Arcangelo Gabriele e della Madonna Annunciata.

Il campanile
Sulla destra del portale si eleva un massiccio campanile in mattoni, eretto nel 1457 sacrificando una cappella della chiesa. Originariamente il campanile culminava con un'alta guglia ottagonale costituita da una struttura in legno e ricoperta di lucenti lamine di latta. Tale cuspide, che era sormontata da un gallo di bronzo dorato, era circondata sui quattro angoli della torre da quattro pinnacoli minori e da una ringhiera sui quattro lati. Tale guglia era motivo di grande orgoglio da parte della cittadinanza, che più volte dovette provvedere a restauri in seguito ai danni causati dalle intemperie. Nel 1705, durante l'assedio portato dalle truppe francesi, la parte superiore del campanile fu distrutta dalle cannonate nemiche. La guglia gotica non fu più ricostruita ed al suo posto, nel secondo decennio del Settecento, fu innalzata la tozza cella campanaria che tuttora sussiste. A ricordo dell'antica cuspide metallica, ai Chivassesi rimase tuttavia il soprannome di "facia 'd tòla" ("faccia di latta"). La meridiana con "ora italica", che compare sul lato del campanile rivolto verso la piazza, è opera recente di Mario Tebenghi, come quella del municipio, ma ricalca modelli sei-settecenteschi.

L'interno
L'interno a tre navate della chiesa è, dal punto di vista architettonico e decorativo, quanto mai eterogeneo. Le superstiti strutture in mattoni della fase quattrocentesca, con i loro robusti pilastri quadrilobati e le loro volte a crociera, sono state parzialmente rimesse in luce negli anni Trenta-Quaranta del Novecento e sono particolarmente leggibili nella navata destra, decorata con affreschi neogotici. Le altre due navate conservano parzialmente, invece, il riassetto architettonico intrapreso a partire dagli anni Venti dell'Ottocento su progetto di Andrea Cattaneo. La bravura del Cattaneo, architetto che si situa fra il crepuscolo del Barocco e il Neoclassicismo, emerge soprattutto nell'abside costruita ex novo, resa imponente da colonne di derivazione palladiana e provvista di deambulatorio. Gli affreschi che ornano le volte della navata principale, di esuberanza neobarocca, sono probabilmente databili al tardo Ottocento.
Fra le opere d'arte custodite nella collegiata notevolissima rilevanza ha un gruppo di otto grandi figure in terracotta policroma, databile alla seconda metà del Quattrocento e visibile in una nicchia a destra dell'ingresso. Il complesso raffigura una Pietà e si ispira ad esempi borgognoni. Il corpo irrigidito di Gesù, coricato sulla Sindone, viene pianto dalla Madonna, visibile al centro col volto seminascosto dal velo, dal discepolo Giovanni che sorregge colei che per lui è una nuova madre, e dalle tre Pie Donne, delle quali quella con il vaso d'unguento è identificabile come Maria Maddalena. Il lenzuolo funebre del Cristo è sorretto, ai lembi, da due solenni vegliardi in cui si possono riconoscere Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea: si noti in particolare la splendida delicatezza di modellazione delle loro teste, appena alterata da successive ridipinture. L'altare che sorge accanto a questo gruppo di terracotta reca una pala che raffigura la Visitazione e Sante.
Al secondo altare si trova invece un importante dipinto su tavola del primo quarto del Cinquecento. Il dipinto rappresenta il Compianto sul Cristo morto, anche se viene comunemente definito come Deposizione dalla Croce. Si tratta dell'unica opera conservata in città che sia ascrivibile alla bottega del chivassese Defendente Ferrari, se non al maestro stesso. Anche in questo dipinto Defendente Ferrari si dimostra ricettivo nei confronti della pittura fiamminga e dell'incisione tedesca del Quattrocento: si noti in particolare l'affettuosa minuzia naturalistica dei fiori di campo che abbelliscono il prato intorno al corpo esanime di Gesù, nonché il particolare, assai significativo per un pittore piemontese, delle montagne coperte di neve che si intravedono sullo sfondo. Superba è, inoltre, la cornice in legno intagliato e dorato, di gusto schiettamente rinascimentale con i suoi motivi a candelabra. A sinistra della pala di Defendente vi è una grande tela raffigurante il beato Angelo Carletti, illustre francescano osservante del Quattrocento, nato a Chivasso e noto in tutta Europa per la sua opera intitolata Summa de casibus conscientiae, o anche Summa Angelica. Il dipinto è da datarsi alla seconda metà del Settecento, non troppo lontano dall'anno 1753 in cui il Carletti fu beatificato. Tale dipinto fu tuttavia ritoccato e ingrandito, presumibilmente, alla fine del secolo scorso. Proprio a tale periodo sembra risalire la veduta di Chivasso raffigurata nella parte bassa della tela.
Nel transetto destro, affrescato con figure di angeli, campeggia un elegante altare neogotico in marmo verde scuro, che racchiude un trittico ad olio su tela datato 1907 e firmato dal pittore G. Guglielmetti. Il dipinto raffigura il Sacro Cuore fra il Beato Angelo Carletti e San Sebastiano. Le tre figure, che denunciano l'influenza di maestri tardo ottocenteschi come il Reffo e il Rollini, spiccano su un fondo oro a finto mosaico e sono tratteggiate secondo un gusto un po' arcaicizzante, attento alla pittura primitiva e "devota" del Quattrocento italiano e fiammingo.
L'abside presenta, al disopra dell'altar maggiore barocco in marmi policromi, un gruppo ottocentesco in terracotta policroma raffigurante la Madonna Assunta. Addossato ad un pilastro della navata principale, non si tralasci poi di notare il pulpito donato dalla città di Chivasso negli anni cinquanta del Seicento, ornato da finissimi bassorilievi lignei con le immagini del Redentore e degli Evangelisti.
Presso il transetto sinistro una porticina ad arco acuto conduce alla cappella della Madonna di Lourdes. Si tratta dell'antica sacrestia quattrocentesca, che presenta ancora le originarie linee gotiche. A sinistra della porticina vi è un altare neorinascimentale, la cui pala raffigura la Madonna col Bambino fra i santi Crispino e Crispiniano, patroni della antica corporazione locale chiamata "Università dei Calzolai". Questi santi sono pertanto caratterizzati dall'attributo di una scarpa posta su un cuscino.
Proseguendo verso l'uscita, si incontrano altre due pale. La prima, posta su un confessionale, è di buona fattura settecentesca e rappresenta la Madonna col Bambino e i santi Alberto da Vercelli carmelitano, Apollonia, Omobono da Cremona e Lucia. Questo dipinto un tempo era posto sull'altare della corporazione "Università dei Sarti" ed infatti i santi Alberto da Vercelli ed Omobono erano i protettori di coloro che cucivano gli abiti. L'ultima pala prima dell'ingresso, invece, è tuttora inserita in un altare; essa raffigura la Santissima Trinità e i santi Luigi Gonzaga, Caterina d'Alessandria, Rosa e Orsola. Come scrive lo storico Borla (1773), questa pala fu dipinta dall'artista locale Antonio Barbero, attivo fra la fine del Seicento e la morte, avvenuta nel 1711. Secondo Carlo Caralmellino (1994), la figura di San Luigi può essere un'aggiunta posteriore. Sulla controfacciata della chiesa si noti, infine, il grandioso organo, la cui installazione è stata la causa della chiusura del luminoso rosone quattrocentesco. Lo storico strumento, fra i più preziosi del Piemonte e con più di 3.800 canne, due manuali e pedalieria, fu costruito nel 1843 dall'organaio Felice Bossi ed alterato da successive modifiche.

Il duomo di Chivasso è sempre aperto al pubblico in orario diurno.

Per approfondimenti:
- Boggio Camillo, Le prime chiese cristiane del Canavese, Paravia, Torino, 1887.
- Boggio Camillo, Le chiese del Canavese, Viassone, Ivrea, 1910. Regione Piemonte, Asti, 2003.

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