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Palazzo Reale a Torino

Esterni sobri e solenni celano una residenza fastosa

Unesco World Heritage

Nel 1563, con il trasferimento della capitale del Ducato di Savoia da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto diede avvio ad un processo di trasformazioni urbanistiche incentrate sulla fortificazione della città e sulla realizzazione della propria residenza. Questa fu stabilita inizialmente nel Palazzo del Vescovo, presso il Duomo di San Giovanni, ma ben presto si decise di costruire un nuovo edificio (rivolto verso il Palazzo vecchio, l'attuale Palazzo Madama), che fu ideata nella sua forte connotazione urbanistica da Ascanio Vittozzi, chiamato a corte dal nuovo duca Carlo Emanuele I nel 1584. Evidenti erano le suggestioni romane nel disegno architettonico vittozziano, realizzato tanto velocemente che nel 1586 si stipulò il contratto per la facciata (realizzata con bugnato a diamante) e si lavorò contemporaneamente sui bastioni, dei quali si è conservato, quasi immutato nella sua sostanza architettonica, il Garittone.
Nel primo Seicento si definì la sistemazione delle cortine d'affaccio sulla piazza, risolta mediante edifici porticati con facciate uniformi; sul lato opposto la Grande Galleria collegava il Palazzo e il Castello. Alla morte di Vittozzi e durante la reggenza di Madama Reale Cristina di Francia, il cantiere fu diretto da Carlo di Castellamonte e poi da Carlo Morello, il quale attuò, tra l'altro, lo “sbianchimento" della facciata e avviò la costruzione del Padiglione per l'ostensione della Sindone.

Si definì in tal modo lo spazio della cosiddetta “Piazzetta Reale", che dagli anni Trenta del XIX secolo sarà delimitata dalla cancellata di Pelagio Palagi, tuttora esistente.
Negli stessi anni di inizio Seicento si procedette all'arredo delle sale di parata al primo piano, sul lato verso la piazza. I ricchissimi soffitti in legno intagliato e dorato, opera degli specialisti della famiglia Botto, costituirono il tema dominante della decorazione, in armonia con l'inserimento delle grandi tele allegoriche, i cui soggetti esaltavano le virtù del sovrano, all'interno di un programma iconografico dettato dal retore di corte Emanuele Tesauro. Qui operarono Jan Miel e Charles Dauphin, due pittori forestieri particolarmente apprezzati a corte per la loro adesione al linguaggio classicheggiante della pittura barocca europea (si vedano ad esempio le tele delle sale degli Staffieri e del Trono). Accanto a loro operarono anche i fratelli Dufour, partecipi della celebrazione dinastica con la serie degli emblemi dipinti nella Sala della Colazione e in quella dell'Alcova. Nel grande Salone degli Svizzeri, invece, la narrazione delle storie genealogiche dei Savoia fu affidata, nella parte alta delle pareti, agli affreschi di Giovanni Francesco e Antonio Fea. Verso la fine del Seicento il Palazzo fu raffigurato nel Theatrum Statuum Regiae Coelsitudinis Sabaudiae Ducis sul limite del settore nord-est della città, omogeneamente costruita seguendo gli allineamenti del castrum romano. Tra la compagine delle fabbriche palatine non era ancora rappresentata la cappella della Sindone, innalzata da Guarino Guarini negli anni 1667-1668 in collegamento con la manica ovest del Palazzo. La stretta connessione del Palazzo con la cappella destinata a contenere l'importante reliquia riflette un preciso intento simbolico da parte della corte, che negli anni del ducato di Vittorio Amedeo II ricercò una sempre più precisa collocazione nella politica e nella cultura contemporanea europea. Rispose a queste esigenze anche la scelta di chiamare a Torino Daniel Seiter, il pittore che nel 1688 ricevette, tra gli altri incarichi, quello di celebrare il sovrano nell'affresco sulla volta della Galleria che, dal nome del pittore, si chiama "Galleria del Daniel". L'artista portò da Roma una cultura aggiornata e lavorò al palazzo per un lungo periodo, nel quale collaborò con le maestranze dei “minusieri" (falegnami) e degli stuccatori, che rinnovarono profondamente l'apparato decorativo. Ne sono un esempio le volte dell'appartamento al piano terreno, detto poi di Madama Felicita, nel quale intervennero presto anche pittori genovesi, le cui scelte coloristiche aprirono una nuova prospettiva alla pittura del Settecento torinese.
Con Vittorio Amedeo II si sviluppò il programma di sistemazione del Giardino, affacciato sul Bastion Verde. Il disegno fu redatto dal Duparc, mentre le opere di ornamento furono ideate da Carlo Emanuele Lanfranchi, che realizzò il gruppo, poi rimosso, della ninfa Galatea. Sul finire del Seicento l'impianto del Giardino verso levante fu nuovamente rivisto e ampliato da Andrè Le Notre, con la realizzazione di sei bacini d'acqua e viali disposti a raggiera: il gruppo statuario dei Tritoni collocato ad ornamento dell'unico bacino superstite è opera della metà del Settecento di Simone Martinez.
Dopo l'acquisizione del titolo regio nel 1713, furono effettuati notevoli ampliamenti nella struttura del Palazzo, che doveva ospitare rinnovate funzioni amministrative: fu realizzata la zona di comando, costituita dalle Segreterie, dagli Uffici, dal Teatro Regio, dagli Archivi di Stato. Per questi ampliamenti fu incaricato l'architetto messinese Filippo Juvarra, il cui arrivo a Torino coincise con questa svolta importante. Lo Juvarra dotò la città e il territorio circostante di capolavori assoluti, quali la Basilica di Superga, la Reggia di Stupinigi e la nuova facciata di Palazzo Madama. Nel Palazzo Reale la sua attività si esplicò nella realizzazione della Scala delle Forbici (dal soggetto della decorazione a stucco), ideata a rampe sdoppiate, e del Gabinetto Cinese, dove si espresse il nuovo gusto per l'esotismo. Il ruolo dell'architetto fu quello di un sapiente coordinatore dell'ornamentazione: grazie ai suoi contatti con l'ambiente romano arrivarono infatti dipinti importanti, come le sovrapporte dell'Imperiali (nella Sala delle Cameriste) o come le due tele di Van Loo per la Cappella Regia.
Pittore ufficiale di Carlo Emanuele III, il sovrano salito al trono nel 1730, fu Claudio Francesco Beaumont, che intervenne in molti ambienti del palazzo, tra cui il Gabinetto Cinese, la Galleria della Battaglie (ispirata dalle vittorie militari del sovrano) e quella dell'Armeria. Su queste volte i soggetti mitologici e allegorici furono trattati dall'artista con una pittura soavemente luministica, ricca di arditi sfondati architettonici.
Alla partenza di Juvarra per Madrid la carica di primo architetto regio passò a Benedetto Alfieri, che completò le decorazioni degli ambienti del secondo piano e rinnovò profondamente anche alcune delle sale di rappresentanza. Al suo progetto si deve ad esempio la nuova sistemazione della Galleria del Daniel, che assunse la funzione di sala da ballo, con le specchiere di fronte alle finestre. Al periodo in cui Alfieri è responsabile del Palazzo appartengono pure le nuove camere degli Archivi, sul lato verso il giardino. Esse trovarono un prestigioso completamento con gli affreschi di Francesco De Mura, cui si aggiunsero, in una fase più avanzata, quelli di Gregorio Guglielmi.
Mentre la dominazione napoleonica non lasciò praticamente tracce nella compagine del Palazzo (ma molti arredi furono trasferiti a Parigi), in epoca carlo albertina si intraprese una cospicua serie di interventi che culminarono con la realizzazione della Sala da Ballo e la riscrittura di alcuni degli ambienti del piano nobile. Coordinatori di queste profonde modificazioni furono Ernesto Melano e il bolognese Pelagio Palagi, che utilizzò spunti tratti dall'antichità classica e dal mondo egizio o particolari decorativi che ebbero origine da una reinterpretazione del gotico. Oltre al Salone degli Svizzeri, oggetto della ridefinizione palagiana furono ad esempio la Camera da Studio del Re, il Gabinetto delle Medaglie e la Sala del Consiglio, dove greche e cariatidi dorate dominano le boiseries e le specchiere, in un insieme che sottolinea le rinnovate necessità di ornamento della residenza, riplasmando anche gli appartamenti alfieriani del secondo piano.
Tra il 1835 e il 1838 la nuova cancellata in ferro fuso del Palagi sostituì il Padiglione bruciato nel 1811. La statue equestri dei Dioscuri furono collocate solamente nel 1846. Nello stesso periodo nella Galleria del Beaumont fu allestita l'Armeria Reale.
Appena realizzata l'Unità d'Italia, nel 1862 Domenico Ferri diresse per Vittorio Emanuele II la formazione del nuovo Scalone d'onore, che celebrava la dinastia sabauda attraverso le statue. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma, il Palazzo perse progressivamente le sue funzioni di residenza, per aprirsi al pubblico sia come Museo, sia come Palazzo per uffici. In quest'ottica nel 1911 fu realizzata da Emilio Stramucci la “manica nuova", sull'attuale via XX Settembre, affacciata sull'area archeologica costituita dal Teatro Romano, riportato in luce in quell'occasione, e dalle Porte Palatine.
Palazzo Reale, come tutte le altre residenze sabaude, è iscritto nella lista dei beni considerati dall'Unesco "Patrimonio Mondiale dell'Umanità".

Palazzo Reale si trova in Piazzetta Reale, nel cuore di Torino.
Per informazioni e visite: www.ilpalazzorealeditorino.it

Comune: Torino (TO) | Regione: Piemonte | Localizza sulla mappa
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